Letizia Indolfi - 29-01-2005
Sono studentessa da tutta la vita, perché è dalla famiglia che è iniziato il mio “fare scuola”.
Scuola per imparare, ma anche per essere. La scuola di oggi però, si sta pian piano allontanando da questo obbiettivo.
Se qualcuno entrasse alle otto di mattina in un istituto della nostra penisola, respirerebbe un’atmosfera carica di indifferenza e di freddezza.
Accade che fra professori e studenti non si instauri un rapporto autentico, ma solo un muro ideologico. Noi studenti non siamo una massa di lobotomizzati dalla pubblicità, dalle mode e dalle firme; viziati, superficiali e ignoranti come dicono. Abbiamo qualche idea confusa su cosa sia giusto o meno fare, che spesso cambiamo completamente, ma alla fine il motivo per cui siamo a scuola è sostanzialmente quello di diventare dei cittadini responsabili e attenti.
Per questo vorrei una scuola che fosse come la mia casa, la mia città.
Vorrei che i professori ci considerassero come figli e ci insegnassero non solo le loro materie, ma anche a vivere e a relazionarci con gli altri. Inoltre mi piacerebbe che i docenti si avvicinassero a noi anche fuori dell’ora di lezione, che ci chiedessero se siamo felici e che si interessassero ai nostri problemi, alle nostre storie di tutti i giorni, magari dandoci dei consigli… Perché non vogliono essere il nostro punto di riferimento?
Oltre ai genitori, agli educatori delle nostre parrocchie, l’insegnante ha il compito di indicarci la strada verso la maturità, dandoci la possibilità di sbagliare e di poter recuperare, offrendoci la sua esperienza per migliorarci, e non per vantare la sua carriera scolastica denigrandoci.
Nel susseguirsi degli anni di scuola in me si è accresciuto il timore che la classe diventasse come una giungla: ognuno lotta per la propria sopravvivenza. È mai possibile che la valutazione ci debba mettere gli uni contro gli altri?
Scuola per imparare, ma anche per essere. La scuola di oggi però, si sta pian piano allontanando da questo obbiettivo.
Se qualcuno entrasse alle otto di mattina in un istituto della nostra penisola, respirerebbe un’atmosfera carica di indifferenza e di freddezza.
Accade che fra professori e studenti non si instauri un rapporto autentico, ma solo un muro ideologico. Noi studenti non siamo una massa di lobotomizzati dalla pubblicità, dalle mode e dalle firme; viziati, superficiali e ignoranti come dicono. Abbiamo qualche idea confusa su cosa sia giusto o meno fare, che spesso cambiamo completamente, ma alla fine il motivo per cui siamo a scuola è sostanzialmente quello di diventare dei cittadini responsabili e attenti.
Per questo vorrei una scuola che fosse come la mia casa, la mia città.
Vorrei che i professori ci considerassero come figli e ci insegnassero non solo le loro materie, ma anche a vivere e a relazionarci con gli altri. Inoltre mi piacerebbe che i docenti si avvicinassero a noi anche fuori dell’ora di lezione, che ci chiedessero se siamo felici e che si interessassero ai nostri problemi, alle nostre storie di tutti i giorni, magari dandoci dei consigli… Perché non vogliono essere il nostro punto di riferimento?
Oltre ai genitori, agli educatori delle nostre parrocchie, l’insegnante ha il compito di indicarci la strada verso la maturità, dandoci la possibilità di sbagliare e di poter recuperare, offrendoci la sua esperienza per migliorarci, e non per vantare la sua carriera scolastica denigrandoci.
Nel susseguirsi degli anni di scuola in me si è accresciuto il timore che la classe diventasse come una giungla: ognuno lotta per la propria sopravvivenza. È mai possibile che la valutazione ci debba mettere gli uni contro gli altri?
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